1. La crescente complessità del mondo contemporaneo, segnato dall’azione di forze antagoniste (globalizzazione-sovranismo), da evidenti squilibri, contraddizioni e conflittualità, si presenta ai nostri occhi come retta e alimentata da una antropologia che, per noi credenti, appare riduzionista e talvolta lontana (e finanche inconciliabile con) da quella prospettiva sull’uomo (appunto quell’antropologia) su cui si radica e si sviluppa l’insegnamento sociale della Chiesa.
Il Pontefice si è più volte soffermato su tre aspetti: sulla cultura dello scarto (Fratelli tutti, 18-21), sulla globalizzazione e sull’assenza di una rotta comune (Fratelli tutti, 29-31) e, infine, sulla relazione esistente tra ecologia umana e ambientale (Laudato si).
Se nella Fratelli tutti la critica di Papa Francesco al sistema economico e politico odierno si struttura intorno all’esigenza di una “fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita” (1), nella Laudato si il Pontefice ci invita a riconoscere nella questione ambientale e nel modello di sviluppo estrattivo che caratterizza il nostro tempo – e che si alimenta grazie allo sfruttamento dei più deboli, all’individualismo e al relativismo (che discendono dall’antropocentrismo), al consumismo e alla cultura dello scarto – una “radice umana”. La critica di Papa Francesco si rivolge, infatti, verso l’assunzione del “paradigma tecnocratico” (LS, 106) – secondo cui l’uomo crede che la realtà sia totalmente disponibile alla sua manipolazione – quale leva (estrattiva) del progresso e dello sviluppo, poiché “l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza” (LS, 105).
La lezione della Laudato si parte, dunque, dal problema del deterioramento globale dell’ambiente e dalle conseguenze che esso provoca sui più deboli e sugli esclusi, per evidenziare come “l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme” (LS, 48), mettendo così in luce come “un vero approccio ecologico diventa sempre più un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. Come ci ricorda il Pontefice, sussiste un’intima relazione tra le cose del mondo, poiché la natura è sempre in rapporto a Dio e all’uomo. Di fronte ad essa quest’ultimo non si pone come dominatore assoluto ma come “amministratore responsabile” (LS, 116), perché la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio.
È in questa relazione che la libertà umana deve sapersi coniugare con la responsabilità di ogni uomo davanti al genere umano, comprese le generazioni future, e dinanzi a Dio. La “casa comune” è, dunque, una ricchezza posta nelle mani prudenti e responsabili dell’uomo su cui questo è chiamato ad esercitare un mandato di conservazione e non un diritto assoluto.
La Laudato si e, ancor prima, la Centesimus annus, ci insegnano perciò che “l’uomo realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della sua libertà e, nel far questo, assume come oggetto e come strumento le cose del mondo e di esse si appropria” (CA, 43), riportandoci così al senso autentico della creazione, in virtù della quale l’uomo è chiamato partecipare all’opera del Creatore attraverso il proprio lavoro, la propria creatività e i propri doni, dando vita un sistema economico-sociale basato su una libertà che non è arbitro, ma che deve inquadrarsi in un solido contesto etico e giuridico capace di orientarla verso il bene comune.
2. Già da tali prime indicazioni è possibile riconoscere come la DSC non sia una ricetta cattolica ai problemi del mondo contemporaneo
Al contrario, essa è innanzitutto una prospettiva sull’uomo, laddove quest’ultimo non si può comprendere pienamente al di fuori del suo costitutivo legame con Cristo. L’esistenza di questo legame con Cristo deve allora necessariamente riconoscersi anche con riferimento alla società nel suo insieme.
Per usare le parole di GPII “l’esclusione di Cristo dalla storia è un atto contro l’uomo. Senza di lui non è possibile capire la storia … La storia della Nazione è soprattutto la storia degli uomini. E la storia di ogni uomo si svolge in Gesù Cristo. In lui diventa storia della salvezza” (Omelia in Varsavia – Piazza della Vittoria, 2 giugno 1979). GPII invitava perciò a non avere “paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!” (Omelia per la Messa di inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978, n. 5).
L’immanenza di Cristo nella storia è dunque nla ragione per cui la DSC, quale prospettiva sull’uomo, si relaziona con le scienze sociali (come l’economia, il diritto, la politica) con l’obiettivo di raccordare tali scienze attorno alla sua specifica antropologia superando l’opposta tendenza dei nostri temi a guardare all’uomo come nodo dei rapporti di produzione e di scambio piuttosto che all’uomo come protagonista della storia e, dunque, a riferirsi alla verità di cui egli è portatore.
3. Nel fare questo oggi la DSC non si limita però più a indicare dei principi guida per giudicare l’azione. Oggi, piuttosto, la verità cristiana sull’uomo di cui il Magistero è portatore incontra le diverse scienze sociali ed intrattiene con esse – attraverso coloro che studiano le scienze sociali e che praticano ai diversi livelli, operando concretamente nella società – un dialogo sull’uomo, la cui prospettiva è quella di collocare l’azione sociale al servizio dell’uomo.
Innanzi al crescente bisogno di interpretare criticamente il mondo contemporaneo, interrogandolo alla luce della ricerca del bene dell’uomo, la DSC si presenta perciò ai nostri occhi come una teoria critica della società eticamente fondata che assume come suo principio critico proprio la verità sull’uomo rivelata da Cristo.
Agli schematismi ideologici che dominano la storia, la DSC contrappone una prospettiva di lavoro diversa. Essa propone ai credenti (e ai non credenti), operando sul piano dell’inculturazione della fede a cui Francesco ci invita incessantemente, una diversa metodologia di interpretazione del mondo contemporaneo, invitando l’uomo – con libertà e realismo – a individuare in ogni specifica situazione quella combinazione di intervento pubblico e libertà di mercato, di responsabilità sociale e libertà individuale, di efficienza e di solidarietà, di automazione e umanizzazione che corrisponde in concreto alla specificità ed al bene comune di una determinata comunità sociale.
“Uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare ciò che semina lo Spirito Santo. Significherebbe non avere fiducia nella sua azione libera e generosa pensare che non ci sono autentici valori cristiani là dove una gran parte della popolazione ha ricevuto il Battesimo ed esprime la sua fede e la sua solidarietà fraterna in molteplici modi. … Non è bene ignorare la decisiva importanza che riveste una cultura segnata dalla fede, perché questa cultura evangelizzata, al di là dei suoi limiti, ha molte più risorse di una semplice somma di credenti posti dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale. Una cultura popolare evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente, e possiede una sapienza peculiare che bisogna saper riconoscere con uno sguardo colmo di gratitudine” (Francesco, Evangeliigaudium, pt. 68)
4. La dottrina sociale si pone così come coscienza di quella dimensione laicale della Chiesa che si manifesta nell’agire di milioni e milioni di esseri umani che costruiscono giorno per giorno una vita più umana, più degna per se stessi e per coloro che sono affidati alle loro cure. Essa riflette in modo sistematico e critico una prassi, che cambia la storia, ne aiuta lo sviluppo e costituisce uno dei momenti che ad essa necessariamente appartengono in quanto prassi autenticamente umana: l’azione della persona è, infatti, sempre esercizio dell’intelligenza e della libertà responsabile, fatto alla presenza di Dio che la costituisce e la chiama alla comunione con il suo prossimo.
Del resto, “la Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro” (GPII, Centesimus annus, pt. 43)
5. Questo diverso approccio nell’interpretare il mondo contemporaneo contempla anche un diverso modo di guardare alla storia. Se ci dovessimo domandare chi è il soggetto che fa la storia credo che tutti noi risponderemmo che ciò che guida la storia è il potere. Per cambiare il mondo, per realizzare ciò in cui crediamo, occorre infatti prima conquistare il potere. Solo il potere ci permetterà di dare forma alla società nel senso che crediamo essere giusto.
La nostra società è portata a considerare come costruttore della storia colui che, in un certo momento della storia, detiene il potere. Del resto l’epoca moderna è epoca delle rivoluzioni intese come tentativi violenti di trasformazione sociale sulla base di uno schema ideologico imposto dal potere, sia esso quello dello Stato, laddove la trasformazione passa principalmente attraverso la politica, quello della ricchezza, laddove la trasformazione riguarda invece la sfera economica (interessando talvolta, attraverso, quest’ultima, anche quella politica) e quello della tecnica (pensate a internet e ai social network), laddove la rivoluzione si presenta prevalentemente come rivoluzione dei costumi, interessando però anche le sfere dell’economia e della politica.
GPII, ai cui dobbiamo l’aver saputo rilanciare la centralità della DSC quale scienza chiamata ad interrogare le scienze sociali, instaurando con esse un dialogo costante sull’uomo, ci invita però a fornire una risposta alternativa. Secondo il Pontefice a cambiare il mondo non è l’iniziativa rivoluzionaria di alcuni, bensì il lavoro umile di milioni e milioni di uomini, l’amore che lega fra loro un uomo e una donna e li spinge ad avere cura l’uno dell’altro ed insieme dei loro figli. Così facendo la cura ed il lavoro si estendono al di là della sfera dell’interesse immediato, investendo il susseguirsi delle generazioni e proiettandosi verso il futuro. In tal modo, evidenziava GPII, nasce la cultura intesa come capacità di riflettere sul senso della propria vita e del proprio lavoro e, quindi, di consegnarlo alle generazioni successive.
6. Tutto questo non sarebbe possibile se non in forza della scoperta della dimensione della gratuità e, dunque, della sua connaturalità all’uomo, che si manifesta nell’operatività di quella logica del dono che (insieme alla logica del dovere e alla logica dello scambio per equivalenti) è parte integrante e irrinunciabile dell’azione umana. Proprio l’operare nella storia della logica del dono – cioè il dono libero di se stessi nell’amore – è ciò che, nella prospettiva della DSC, regge e dà fondamento alla civiltà umana e con essa alla civilizzazione materiale.
Nella Caritas in veritate, Benedetto XVI ci ricorda come “la carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza” (pt. 34).
Gratuità e logica del dono sono, a loro volta, espressione di quella fraternità a cui ci esorta Papa Francesco nell’ultima enciclica Fratelli tutti. “Un essere umano – ci ricorda il Pontefice – è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: «Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro». Questo spiega perché nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana, perché «la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte»” (Francesco, Fratelli tutti, pt. 87)
7. È però obiettivamente difficile riconoscere la presenza di logica – che riteniamo essere la vera protagonista della storia, piuttosto che il potere (sia esso politico, economico o mediatico) – nel funzionamento del nostro sistema economico, sociale e politico. Non a caso, nell’Evangeli gaudium, Francesco ha pronunciato parole nette sull’economica che uccide, nella quale prevale “la legge del più forte, dove il potente mangia il più debole” (pt. 53). Questa economia genera esclusione e iniquità, “considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì’ si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi” (pt. 53).
Un’economia che uccide, fondata sulla logica dello scarto, nella quale l’uomo è inteso come semplice nodo del processo produttivo e dello scambio, distrugge i legami sociali, creando indifferenza e distanza, corruzione e incapacità a pensarsi parte di un’unica famiglia umana. In questo contesto quella logica del dono protagonista della storia non può operare. Senza di essa, tuttavia, alla luce della loro reciproca interdipendenza, degenerano tutte insieme la sfera economica, la sfera politica e la sfera culturale.
8. Lo scambio sociale è organizzato fondamentalmente in due modo. Esiste una regola dello scambio per equivalenti, che è la regola tipica del mercato. Se compro qualcosa devo pagare il suo prezzo. Eventuali alterazioni nel funzionamento del mercato (e dunque della dinamica di formazione dei prezzi mediante l’incontro tra domanda e offerta) creano distorsioni nel funzionamento ordinato della società. Lo scambio sociale, tuttavia, non avviene solo per equivalenti. In una società realmente umana, accanto alla logica dello scambio per equivalenti, si colloca proprio la logica del dono in virtù della quale qualcosa viene dato in cambio di nulla, per pura gratuità. I bambino, il debole, il povero, non hanno nulla da offrire in cambio di ciò che ricevono, eppure dal riconoscimento della dignità umana, fondato sul principio dell’Imago Dei, essi hanno il diritto di ricevere il sostegno e l’aiuto di cui hanno bisogno.
9. Scambio per equivalenti, doveri di cittadinanza e logica del dono sono i tre poli dell’azione sociale umana. L’odierno sistema economico non si fonda, ovviamente, sulla logica del dono ma sulla logica dello scambio per equivalenti (talvolta temperata dall’adozione di parametri gestionali come i criteri ESG o CSR). Anche il sistema politico-democratico non si regge sulla logica del dono, bensì sull’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale che vengono imposti attraverso l’esercizio da parte dell’Autorità politica del potere sovrano. Accanto a sfere sociali in cui predomina il momento del calcolo degli equivalenti, esistono altrettante sfere in cui predomina invece la logica del dono. Esistono, infatti, cose che non si vendono e non si comprano. Mi riferisco alla persona umana e a tutto ciò che le è più strettamente connesso. Ciò perché, come ci ricorda l’enciclica Dives in misericordia, vi è qualcosa che è dovuto all’uomo in forza della sua essenziale dignità, anche se non può dare nulla in cambio.
La società risulta dunque articolata in tre sfere interdipendenti tra loro. Una di esse è il mercato, l’altra è lo Stato, l’ultima è la sfera della solidarietà che comprende tutte quelle attività che rispondono a bisogni che stanno fuori dal mercato, che non competono all’Autorità politica (in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale) e che, per questo, non sono regolate né dalla logica dello scambio per equivalente, né dalla logica dell’adempimento dei doveri di cittadinanza, bensì dalla gratuità e, nella prospettiva della Fratelli tutti, dalla fraternità. Si tratta di sfere non solo interdipendenti, ma fluttuanti, cioè che si estendono e di restringono a seconda delle situazioni, in funzione dell’evoluzione della società e dei suoi bisogni.
Nell’insegnamento della DSC, tanto più è sviluppata la sfera della solidarietà e, dunque, esteso l’ambito di operatività della logica del dono, tanto più essa potrà operare nelle dinamiche sociali conformando la sfera economica e la sfera politica.
10. È questa la ragione per cui, nell’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI ha evidenziato come “il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza. Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. … La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia, di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o dopo di essa. La sfera economica non è eticamente neutrale, né di sua natura disumana o antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente” (pt. 35).
11. Il sistema economico, per essere al servizio dell’uomo, deve dunque essere strutturato politicamente e giuridicamente attraverso le istituzioni.
Sotto un primo profilo, nell’enciclica Centesimus annus, GPII aveva evidenziato sottolineato proprio questo aspetto, rilevando come il sistema capitalistico, incentrato sull’economia di mercato e sul funzionamento delle sue istituzionidemocratiche, possa risultare compatibile con gli insegnamenti del Magistero sociale della Chiesa laddove quella libertà economica su cui esso si regge risulti “inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso” (42). Il riferimento qui è, in primo luogo, al fatto che il mercato non esiste allo stato puro; esso trae forma e sostanza dalle configurazioni culturali, giuridiche e politiche che lo specificano e lo orientano.
Sotto altro profilo, “l’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico soprattutto la comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l’agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 35).
“La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di redistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono. L’economia globalizzata sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 37).
12. Non è possibile comprendere la prospettiva socio-economica espressa dalla DSC senza cogliere il tema della reciproca interdipendenza tra le tre sfere a cui ho fatto cenno: la sfera dell’economia, quella della politica e quella della solidarietà che trova la sua sede naturale nella società. Si tratta in altri termini di cogliere come secondo la DSC lo sviluppo economico e sociale è virtuoso quanto è capace di generare fiducia e inclusione sociale. Per essere tale, esso richiede il coinvolgimento dell’intera famiglia umana, dell’azione di singoli uomini e donne capaci di interrogarsi continuamente sul senso del proprio vivere e sulle conseguenze dirette e indiretta del proprio agire. Uomini e donne che sappiano farsi carico della propria missione, donando parte di se stessi in modo che quella logica del mondo che è protagonista della storia possa contaminare la società e, con essa, la sfera economica e quella politica.
13. Vorrei concludere ricordando come è possibile rinvenire questa medesima prospettiva nella nostra carta costituzionale, laddove all’art. 1 i padri costituenti hanno inteso rintracciare proprio nel lavoro – ovvero nell’attività umana e nella sua libertà, che è anche vocazione e, dunque, dono di sé – il fondamento della nostra Repubblica democratica.
Il richiamo al lavoro quale fondamento dell’ordinamento democratico rinvia alla necessità di ricercare l’unita politica (e prima ancora spirituale ed economica) del Paese proprio in questa dimensione (espressione di una libertà ordinata, segnata dalla necessità, dal suo carattere pienamente egalitario e dalla sua dimensione relazionale). Il lavoro viene inteso come forza coesiva: la società trova nella dinamica del lavoro e della produzione la ragione della propria unità e dell’uguaglianza sostanziale delle persone in funzione di questa unità, laddove anche il potere dello Stato non può più fondarsi più sul regime proprietario e sul dominio del sovrano, ma sul lavoro inteso come fattore di produttività economica e sociale (che quest’ultimo è perciò chiamato a supportare e incentivare in una logica sussidiaria e pluriarchica).
Nella prospettiva dei costituendi il lavoro è dunque pensato come atto di libertà e di responsabilità, come protagonismo economico e sociale del singolo in funzione del progresso della società e della produzione della ricchezza. Il che rinvia ad una visione cooperativa del lavoro e dell’attività economica in netta contrapposizione con il corporativismo, inteso quale modalità di allineamento di economia e politica che favorisce non la libertà ma assetti di potere autoritari incompatibili con quell’ordine della libertà (della persona) che dà forma e sostanza al nostro ordinamento.
Produzione della ricchezza, lavoro e attività economica sono funzionali (e comunque non in contrasto con) all’attuazione di quel programma di trasformazione economico-sociale delineato dall’art. 3 della Costituzione ed espresso dal principio di uguaglianza sostanziale. Tutti attraverso il lavoro e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (sia quelli imposti dall’autorità politica che quelli che rinviano al principio di gratuità), sono chiamati a partecipare al progresso economico e sociale del Paese.
Nello stesso tempo però l’attuazione del programma contenuto all’art. 3 della Costituzione incontra nella libertà della persona e nella necessità di preservare la sfera della solidarietà un limite invalicabile. L’attuazione di quel programma (e in generale la subordinazione della libera iniziativa economica all’utilità sociale) è subordinata alla normatività dell’ordine della libertà (della persona e della società). Una libertà che trova attuazione non nella composizione autoritaria degli interessi in gioco (es. corporativismo) ma nell’ambito di procedure di confronto e di transazione condotte secondo la rappresentazione che ciascun protagonista dà liberamente dell’interesse di cui si fa portatore (secondo le diverse forme dello scambio sociale).
L’unificazione sociale richiede però che l’esercizio di tale libertà avvenga all’interno di una trama di valori sociali, facendo di questa libertà (e non dell’autorità) il fattore condizionante del processo aggregativo. La libertà personale, attraverso il diritto (e dunque la logica dei diritti e dei doveri), si oggettiva nella trama dell’ordinamento facendo del potere solo un tramite tra le libertà e il diritto (e dovere) del soggetto nell’ambito dell’organizzazione sociale.Si restituisce così il protagonismo della storia a quell’agire di milioni e milioni di esseri umani che quotidianamente esercitano la propria libertà al cospetto di Cristo.
Questa è la sovranità popolare intesa non come mera attribuzione della sovranità al popolo in termini di mera legittimazione dell’Autorità politica) bensì come riconoscimento del fatto che è il popolo stesso la sovranità, ovvero la sede e la fonte dell’ordine giuridico nel quale esso si rispecchia. È l’immagine di un popolo che trova proprio nel suo impegno produttivo, sia in senso spirituale che economico, il fattore vitale della sua unità.
È per questo che, richiamando la Fratelli tutti, “ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa e le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. … Per quanto cambino i sistemi di produzione la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti «non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, per stabilire relazioni sane, per esprimere se stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili del miglioramento del mondo, e in definitiva, per vivere come popolo” (Francesco, Fratelli tutti, 162)
Fondare la Repubblica sul lavoro significa dunque negare che il potere politico possa giustificarsi di per se stesso, orientando perciò l’intervento dell’Autorità politica nella direzione della via istituzionale della carità, creando cioè quelle condizioni giuridico-istituzionali necessarie per contrastare fenomeni estrattivi chespezzano la coesione sociale impoverendo la maggioranza della popolazione in funzione del benessere e del potere di pochi. E, nello stesso tempo, pensare l’ordinamento democratico come delineare un ordinamento giuridico dal quale nasce un ordine dinamico e sempre contingente, che è fattore di convivenza dipendente dalla convergenza delle responsabilità personali.
Fabio G. Angelini
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