“Santificare il proprio lavoro non è una chimera, bensì è missione di ogni cristiano” (J. Escrivà, Solco, 517)
“Il lavoro è un bene dell’uomo – è un bene della sua umanità – perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alla proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Laborem Exercens, 9).
Il lavoro è un’esperienza umana che accomuna tutti noi – sebbene con ruoli, compiti e responsabilità diverse – ed è nello stesso tempo un terreno sul quale si manifesta continuamente lo scontro tra la visione antropologica che è a fondamento del magistero sociale della Chiesa e la realtà terrena del mondo del lavoro, del sistema economico e sociale, con i loro conflitti e le loro contraddizioni.
Nel messaggio biblico, il lavoro rappresenta lo strumento attraverso cui l’uomo realizza il dominio nel mondo visibile soggiogando la terra. “L’uomo realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della sua libertà e, nel far questo, assume come oggetto e come strumento le cose del mondo e di esse di appropria” (Centesimus Annus, 43). Attraverso il lavoro, l’uomo è chiamato a partecipare e a continuare l’opera del Creatore esercitando la propria libertà.
Non bisogna però tralasciare il fatto che il lavoro è, a sua volta, una realtà multidimensionale, fatta di contraddizioni, di tensioni e di conflitti. Per comprendere tale aspetto è illuminante la riflessione di Giovanni Paolo II che nell’Enciclica Laborem Exercens distingue tra
– dimensione soggettiva: uomo-persona, la cui essenza immutabile è rappresentata dalla sua dignità che le deriva dall’essere a immagine e somiglianza di Dio
– dimensione oggettiva: l’attività lavorativa in sé: se da un lato l’inviolabilità della dignità umana rappresenta una verità immanente e immutabile, di contro però, la dimensione oggettiva del lavoro è plurima (sono sterminate le attività umane che possono rientrare nel concetto di lavoro) ed in continua evoluzione, risultando strettamente connessa ai mutamenti del contesto socio-economico di riferimento (competitività vs. diritti sociali).
Tale duplice dimensione produce una continua frizione tra la dimensione oggettiva del lavoro – con le sue esigenze, i suoi ritmi e le sue regole – e quella soggettiva, in ragione dell’inaccettabilità di qualsiasi degradazione della dignità umana (disoccupazione, sfruttamento, lesione dei diritti, ecc…).
Il lavoro deve essere nello stesso tempo un bene utile all’uomo, di cui possa fruire e un bene degno dell’uomo, ovvero, chiamato ad esprimere ed accrescere la stessa dignità dell’uomo.
È qui che si manifesta la prima chiamata alla responsabilità del cristiano di fronte ai problemi del lavoro. La virtù personale della laboriosità (l’impegno a mettere a frutto i talenti che ciascuno ha ricevuto da Dio)deve sposarsi con la solidarietà degli uomini del lavoro e con gli uomini del lavoro, quale elemento essenziale per la realizzazione della giustizia sociale.
Tale solidarietà deve concretizzarsi nell’impegno di ciascuno a costruire un ordine sociale del lavoro coerente con la dignità umana, innanzitutto come cittadini non indifferenti alle sorti dell’altro (nella nostra costituzione il lavoro è parte stessa del concetto di cittadinanza) e, a seconda del posto che ciascuno occupa in mezzo al mondo, come uomini di impresa, manager, banchieri, professionisti, uomini delle istituzioni e così via.
Un’altra caratteristica essenziale del lavoro cristianamente inteso, quale vocazione di ogni uomo, è rappresentata dalla fatica e dal sudore che accompagnano l’attività lavorativa (sin dalla creazione, come dimostra il messaggio biblico).
Proprio questa componente irrinunciabile del lavoro umano rappresenta nella teologia del lavoro il punto di contatto tra l’esperienza terrena dell’uomo e la chiamata a seguire Cristo, che avviene attraverso la condivisione di una piccola parte della sua croce e, per tale via, grazie alla luce della risurrezione, ci permette di portare nuova luce in mezzo al mondo.
Si tratta dunque – richiamando le parole di nostro Padre – di una vera e propria missione, di una vocazione universale grazie alla quale l’uomo può contribuire al progresso terreno (moltiplicando “i frutti della nostra operosità”) e allo sviluppo del regno di Dio (“accrescendo la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà”).
È su questo terreno di contatto tra realtà terrena e dimensione soprannaturale dell’attività umana che entra in gioco il concetto di santificazione del lavoro, inteso come realtà
– santificante
– santificatrice
Richiamando quindi una duplice prospettiva: una individuale e una relazionale.
Secondo l’insegnamento di S. Josemaria, la vocazione umana al lavoro costituisce una parte integrante e fondamentale della vocazione soprannaturale di ogni uomo. Ciò significa unità di vita affinché il nostro lavoro umano venga elavato all’ordine della grazia e si santifichi diventando operatio Dei, lavoro di Dio.
Per cogliere la santificazione del lavoro in tutti i suoi molteplici aspetti, nostro Padre ricorreva a tre espressioni complementari, in grado sia di cogliere in profondità tutti gli aspetti della visione cristiana del lavoro, sia di offrire ai suoi figli suggerimenti concreti per materializzare la vita interiore nel lavoro.
– santificare il proprio lavoro
– santificarsi nel lavoro
– santificare gli altri con il lavoro
La santificazione del lavoro ordinario allude, innanzitutto, (i) alla compiuta realizzazione del lavoro stesso, cioè, perfezione anche umana ed esatto adempimento di tutti gli obblighi professionali e sociali.
Per santificare la professione è necessario lavorare bene, con serietà umana e soprannaturale. Fare le cose con la massima perfezione possibile significa:
– perfezione umana (competenza professionale)
– con amore della volontà di Dio
– al servizio degli uomini.
Ciò permette di ordinare in senso cristiano le realtà temporali, facendo del proprio lavoro un’offerta a Dio. Ciò significa fare del lavoro stesso un’orazione personale, un’occasione di incontro con Cristo in mezzo al mondo.
Vivere il lavoro al cospetto di Dio implica, a sua volta, viverlo con spirito di servizio, nella consapevolezza della sua dimensione sociale. È così che il lavoro concorre al miglioramento delle condizioni di vita ed è fonte di progresso e di benessere.
Fare del proprio lavoro un servizio agli altri è anche un’occasione per illuminare la vita di chi ci sta intorno e, attraverso la testimonianza della nostra fedeltà a Cristo, far sì che anche altri possano fare delproprio lavoro un’occasione di santificazione.
Tutti questi elementi sono una potente leva sia per la crescita personale che per raggiungere il successo stesso in campo professionale. Occorre però essere attenti e vigili, affinché la ricerca della perfezione umana nel lavoro non ci faccia scivolare verso altri pericoli per la nostra vita interiore, che ci rendono miopi ed incapaci di vedere la nostra missione.
– Capita a volte, di fronte alle difficoltà, di venir presi dallo sconforto, dall’irrequietezza, dall’apatia, dall’impotenza e così di fermarci, di arrenderci.
– Altre volte, al contrario, i risultati positivi della nostra attività professionale di portano alla spasmodica ricerca di qualcos’altro, accrescono la tendenza a parametrare i risultati del lavoro solo in termini economici, a trascurare chi ci sta intorno, a farci prendere dall’ansia del potere e del successo, a ricercare la vana gloria, accrescendo uno smisurato desiderio di affermazione personale, rendendoci sempre più egoisti e indifferenti rispetto alle sorti dell’altro.
Contro questi pericoli credo che possa essere utile rileggere l’omelia di nostro Padre intitolata “Nella bottega di Giuseppe” (E’ Gesù che passa, 39 ss.). Personalmente, quando sento la sensazione di scivolare, indifferentemente, in una o nell’altra direzione la rileggo e mi fermo a riflettere su quello che mi sono convinto essere il circolo virtuoso di San Giuseppe, che si compone di 4 ingredienti riscontrabili nella vita del patriarca:
– Amore
o consapevolezza di compiere la volontà di Dio
o orientamento al benessere della sua famiglia
o orientamento al servizio degli altri
– Distacco dai beni materiali
– Spirito di umiltà
– Nascondimento
Questi ingredienti, tutti collegati tra loro ed in grado di alimentarsi vicendevolmente, credo siano un’irrinunciabile scudo di protezionee, tutti insieme, la ricetta per essere contemplativi in mezzo al mondo e così facendo santificare e santificarsi nel e per mezzo del lavoro.
Milano, 16 gennaio 2017
Fabio G. Angelini